domenica 27 settembre 2020

Gagliaudo e il carnevale alessandrino

 Tra le infinite cose che si sono perse ad Alessandria il carnevale tradizionale è una di quelle particolarmente notevoli. E' ovvio che le cose cambino, succede ovunque, ma il carnevale è una di quegli eventi attraverso il quale sopravvivono memorie antiche, a volte antichissime addirittura preistoriche, di un posto e di un popolo particolare. La maggior parte delle volte queste memorie si presentano sotto forma di simboli difficili da decifrare anche quando il carnevale è cambiato completamente. Conservazioni virtuose, non solo per il paese, ma per tutti, esistono u po' in tutta Europa, dalle nostre parti bisogna segnalare La Lachera, il carnevale di Rocca Grimalda, con le sue maschere ed i suoi simboli propiziatori della rinascita primaverile. Ancora una volta invece Alessandria si distingue andando dalla parte opposta: del carnevale tradizionale non resta nulla: si può dire che anche questo sia un simbolo, triste, della perdita dell'identità profondo di una città e di un popolo che negli ultimi decenni è quasi sparito. Il carnevale si fa ancora certo, ma non conserva nulla dei suoi personaggi e dei suoi simboli.

Per caso ho trovato alcune foto in casa risalenti, credo, alla fine degli anni '80 (La Borsalino è stata demolita ma l'Esselunga non è stata ancora costruita) in cui si vede ancora gagliaudo con la sua povera mucca precedere la sfilata dei carri in Corso Cento Cannoni. Così ho deciso di fare qualche ricerca per salvare il salvabile di quel che resta di questa parte importante dell'anima di Alessandria.

"Il carnovale alessandrino, aduna, nell'ultimo giorno, una gran folla di cittadini attorno ad un personaggio tradizionale, un bifolco che spinge col pungolo una mucca dal ventre rigonfio."

scrive Agostino Barolo nel suo "Folklore Monferrino" del 1930, un interessante saggio sulle tradizioni in provincia di Alessandria che erano ancora rintracciabili in quel periodo. Comunque il bifolco in questione è Gagliaudo, Gajoùd figura mitica alessandrina risalente al periodo dell'assedio della città da parte di Federico Barbarossa che durò dal settembre del 1174 alla primavera del 1175. L'esercito stringeva le mura della città ormai da mesi e la popolazione stava per finire le provviste pensando ormai di non resistere a lungo. In questi frangenti venne in soccorso lo stratagemma del vecchio contadino Gagliaudo Aulari, il quale riuscì ad ingannare in nemici ed a salvare la città. Con stupore dei cittadini, egli decise di sacrificare parte del prezioso frumento rimasto in città per ben sfamare una giovenca per poi portarla a pascolare fuori dalle mura attraverso la Porta Genova (che si trovava dove ora c'è via Marengo) e andando verso il campo dei tedeschi. I soldati avidi e affamati lo circondarono e uccisero la povera mucca che trovarono grassa e piena di grano. Con stupore i soldati avvertirono l'imperatore che volle quindi interrogare il pastore, il quale riferì che in città c'erano ancora così tante provviste da poter vivere tranquillamente per mesi. L'imperatore così dopo aver riflettuto sulla situazione decise dopo pochi giorni di togliere l'assedio lasciando liberi i giubilanti alessandrini che onorarono il loro furbo salvatore con una grossa somma di denaro. L'umile contadino però riufiutò continuando modestamente a pascolare le sue mucche in pace e tranquillità (questo è un altro di quei casi in cui esce bene il carattere umile ed introverso degli alessandrini).

Non si sa se la leggendaria figura di Gagliaudo abbia una qualche origine reale, ma il mito è così, più reale del reale e per gli alessandrini è sempre stata centrale e cuore della loro tradizione, espressione di un popolo amante della sua città e del lavoro. Amaramente mi viene da pensare per quanti sia ancora così e per quanti alessandrini di oggi siano ancora caratterizzati da umiltà, amore per il lavoro e per la 

loro terra.

Una canzone dedicata a Gagliaudo del vernacolo alessandrino per futura memoria:

L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!


L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!
A l'è rivà Gajòud, nost salvadour,
cûn ra so süera ansèma
che ansima dra so tûr,
un trèma nent, un trèma!
Ottsent ani circa fa
Barbarusa l'à tentà - ra mèina
ma i Lisandren, chi stavû preparà,
an tra tèinna l'an facc caschè, 'n tra tèinna!
J'an teis in trapûlen
con quater brancà d' gran,
pò i l'ann gnacà ben ben:
l'è acsèi ch'us fà ai tiran.
Lei alûra i Gajouden
j'ann mûstrà tant vigûr;
adess nûi Lisandren
j'ûma l'istess calûr!
L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!

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